venerdì 25 giugno 2010

Siamo fuori



Ieri non è stata una bella giornata
Italia fuori dalla recessione e fuori pure dai mondiali, e senza possibilità di ripescaggio in entrambi i casi
L’esclusione dai mondiali era ovvia, a dir poco scontata. Nelle prime due partite dire che abbiamo giocato male è un eufemismo, e ieri abbiamo fatto decisamente pena. Pure i commentatori sportivi che solitamente chiudono un occhio sulle mancanze dei giocatori azzurri , non potevano che ripetere sconsolati che giocando in questo modo, ad iniziare il secondo tempo stando sotto solo di un gol era già una gran fortuna.
Certo magari la prossima volta che facciamo i bagagli per un appuntamento importante, sarebbe carino portare giocatori, non dico fenomenali ma almeno giovani che vabbè che abbiamo alzato l’età pensionabile, ma un giocatore non è mica detto che deve restare in campo fino ai 65 anni, senno qui i prossimi mondiali tocca giocarli con Paolo Rossi.
Quello che invece mi ha colto di sorpresa è stata l’esclusione dell’Italia dalla recessione.
Dice la Marcegaglia che non siamo più in recessione, per Berlusconi non ci siamo mai entrati, secondo Tremonti a noi la crisi ci ha schivato completamente.
Alle volte mettersi d’accordo prima di sparare cazzate potrebbe rendere la vita più facile a tutti.


OkNotizie

giovedì 24 giugno 2010

L’Aquila: oggi.



6 aprile 2009 ore 3.32: L’Aquila e alcuni paesi circostanti vengono distrutti da una forte scossa di terremoto dopo uno sciame sismico che si protraeva da più di un mese. Tanti morti, interi paesi distrutti, cancellati, tanti sfollati.
In meno di un mese l’Aquila diventa il nuovo miracolo italiano: niente container ad ospitare i terremotati, quegli orrendi moduli abitativi in lamiera fanno tanto campo triste da sfollato Prima Repubblica, vai con le new town; il G8 con i potenti della terra ad aggirarsi tra le macerie di quella città che era un gioiello dell’architettura e della cultura e a mettersi in posa per i fotografi con tanto di caschetto giallo promettendo soldi per la ricostruzione. Poi le case, consegnate in diretta televisiva alla presenza del notaio Bruno Vespa, con addirittura lo spumante nel frigorifero a brindare alla felice vita futura da trascorrere in ridenti casette in cartongesso, dove pure il vaso da fiori , in plastica e con il logo della protezione civile ti ricorda che comunque hai perso tutto e niente sarà più come prima, in quelle new town spuntate all’improvviso e in luoghi improbabili, fuori dai piani regolatori, distruggendo pure il patrimonio naturale dei dintorni.
Io sono stato a L’Aquila, un anno dopo il terremoto, il 6 marzo 2010
Il miracolo, quello tanto sbandierato non c’è, non c’è mai stato o forse sono solo io che non lo vedo.
Non ero mai stato a L’Aquila prima del disastro. Dicono che fosse bellissima, un gioiello di ricchezze architettoniche, le chiese, le piazze , i portici dove fare lo struscio, una città ricca di cultura.
Ora è come camminare in una città bombardata, come se il terremoto fosse stato la sera prima, non un anno prima. Qualcosa si intravede dalle macerie. Si intravedono i portici. Ora sono tutti puntellati, una rete ti impedisce di camminarci sotto, le case e i palazzi sono pericolanti. Sotto si intravvedono i bellissimi caffè, le pasticcerie, i negozi, di quello che doveva essere il cuore pulsante di questa città.
Non è possibile entrare nel centro storico, ad un anno di distanza non è ancora possibile entrarci. Le macerie sono ancora tutte li, i palazzi sono pericolanti come quella notte, anzi forse ancora di più perché l’inverno rigido ha creato ancora più problemi a quelle strutture precarie. A chiudere l’accesso al centro storico, alla zona rossa, c’è una rete a cui i cittadini hanno attaccato le loro chiavi, con l’indirizzo e il numero civico. Una di quelle chiavi è come quella di casa mia. Potrebbe succedere anche a me; anche la Calabria è terra ad alto rischio sismico.
Quando scende la sera L’Aquila diventa una città fantasma. Cammini per le strade, quelle poche aperte, in un silenzio irreale. Non un bar aperto, non un ristorante o una pizzeria, nessuna luce alle finestre delle case, nessun passante, le uniche macchine in circolazione sono i mezzi di servizio della Protezione Civile o dei militari che sono ancora li, a pattugliare strade senza vita.
E’ questo il miracolo della ricostruzione?
E’ questo che si vuole offrire ai cittadini ? Un futuro da sfollati.
Incontro alcune signore, alcune tra le fortunate abitanti delle nuove CASE; hanno voglia di parlare e di raccontarti. Chiedo come si sta nelle nuove case. Bene è la risposta, meglio che in tenda che qui l’inverno è freddo e loro sono anziane. Però a loro le Case le hanno date alla spicciolata , senza telecamere, e lo spumante nel frigo non ci stava e nemmeno il bigliettino augurale del Presidente. Non è come stare a casa, ti dicono. Non si può mettere un quadro che sai, non si possono bucare le pareti e il rubinetto della cucina perde, ma non si può chiamare qualcuno a farlo riparare, devono venire quelli della protezione civile, a farlo. E comunque fuori da casa non c’è niente. Non c’è un negozio, non puoi fare la spesa, non c’è nemmeno la chiesa.
Sopra ad un cartello, qualcuno ha attaccato la scritta: verba volant, sisma manet.
A quanto pare ormai non ci sono più nemmeno le parole a raccontare il dramma dell’Aquila, che continua a morire nel silenzio generale.
Non ci sono più i titoli dei giornali, non ci sono più gli speciali di Bruno Vespa, non ci sono più i potenti della terra a sfilare commossi. Rimane solo il silenzio.


OkNotizie

martedì 22 giugno 2010

Siamo soli?


Ho svolto, pur non essendo un maturando, una delle tracce dell’esame di maturità di quest’anno.
Ecco il mio risultato

Siamo soli? Nell’universo si intende, non sul cuor della Terra.
Temo di no. L’altra sera a quanto pare un ufo volteggiava sulla cupola di San Pietro. Credo volesse un’udienza con il Papa, ma aveva sbagliato giorno, le udienze sono solo di mercoledì . E questo vale anche se vieni da Marte, caro il mio alieno.
Dunque gli alieni, la vita oltre la terra. Finora li abbiamo sempre immaginati così. Con le strane fattezze di ET, o specie di schifossissime blatte giganti e affamate che ci hanno scambiato per delle larve da ingurgitare, oppure ancora piccoli e incazzosi ometti che hanno deciso di punto in bianco di fare milioni di anni luce per venire a dichiararci guerra senza aver fatto i conti con gli americani che, ovviamente, venderanno cara la pelle,
Una specie di Brunetta insomma. Ma verdastri. E non deve essere una bella vita.
Verdi, piccoli, ripugnanti esserini. C’è da capirli se poi arrivano sul nostro pianeta e vogliono ridurci in concime per le piante.
Certo che pensare che non siamo soli in questo grande immenso universo fa sorgere degli interrogativi. Per esempio.
Cosa cavolo li spinge così lontano dalla loro terra, o pianeta, o qualunque cosa sia quella che loro chiamano casa? Per caso da loro ci sta una guerra e questi arrivano qui in cerca di asilo politico ma noi gli lanciamo addosso un’atomica, che già non ci sono mai piaciuti gli extracomunitari figuriamoci gli extraterrestri; oppure sul loro pianeta non ci sta lavoro e quindi traslocano in massa qui pensando che essendo menti superiori sarà riservato loro un posto di tutto rispetto ignari che il loro destino sarà far i lavavetri ai semafori oppure un lavoro nero in qualche cantiere edile, o magari semplicemente trovano che questo gran biliardo di universo sia un gran mortorio e così hanno deciso che la cosa migliore per creare un po di movimento sia rompere questo equilibrio cosmico e di sfracellare i maroni a noi, che qui sulla terra abbiamo già i nostri problemi?
Perché pur essendo menti superevolute vanno sempre in giro nudi? Possibile che non ci sia un alieno stilista nella loro razza, o almeno un sarto in grado di fare un paio di pantaloni e una camicia anche per questi omuncoli con insufficienza toracica?
Conoscono l’alieno ubriaco che si è schiantato sulla famosa area 51 ?e perché se sanno utilizzare il teletrasporto non se lo sono riportati subito via evitandoci il filmato dell’autopsia quando costui ha deciso di passare a miglior vita?
Goldrake e Mazinga, erano loro parenti? O semplici vicini o conoscenti dato che venivano da Vega?
Perché le loro navicelle spaziali sono rotonde e non specie di supposte spaziali come gli shuttle?

Insomma tutti interrogativi ai quali nemmeno Giacobbo, in diretta dalle piramidi di Giza è in grado di dare una risposta. Noi possiamo solo guardare le stelle e aspettare che queste menti superiori arrivino da noi, e che magari portino invenzioni utili. Il teletrasporto per esempio. Sai le ore di traffico risparmiate.


OkNotizie

Pomigliano d'Arco: anno 2010





Non amo particolarmente i sindacati.
Riconosco le loro giuste attività; riconosco che i sindacati hanno contribuito , specie in passato, alla nascita e alla costruzione dello stato sociale e che tante delle battaglie sindacali condotte sono state giuste e sacrosante affermazioni diritti dei lavoratori.
Ritengo peraltro che il sindacato, così come il diritto del lavoro in Italia non abbia mai saputo adeguarsi al cambiamento imposto dal mercato e dai tempi.
In Italia il diritto del lavoro è stato per troppo tempo ed in parte lo è ancora , il diritto di chi lavora, il diritto di chi il lavoro già ce l’ha o di chi lo sta perdendo; il sindacato con le sue battaglie ha sempre mirato alla protezione di diritti acquisiti, al mantenimento o al miglioramento dello status di occupato intervenendo nella contrattazione collettiva, nei piani di riorganizzazione e riconversione industriale. E’ rimasta fuori però, la gran parte dei lavoratori aticipi, i giovani alla prima occupazione, i famosi co.co. co. e poi i co.co. pro, e prima ancora quelli coinvolti in lavori socialmente utili o di pubblica utilità, e anche gli inoccupati, quelli che un posto di lavoro, seppur precario, non lo hanno mai avuto.
Per troppo tempo e ancora oggi l’attività del sindacato si è trincerata dietro l’idea, molto ottocentesca di una contrapposizione netta tra datore di lavoro e lavoratore, tra capitale e lavoro, insomma.
Fatta questa doverosa premessa, veniamo al caso Pomigliano d’Arco e alla Fiom.
La FIOM HA RAGIONE.
Capisco la situazione critica per il mercato, non solo italiano ma europeo e mondiale e le difficoltà del mercato dell’auto, apprezzo la volontà della FIAT di proporre un sostanziosissimo investimento per la zona del napoletano, capisco pure l’esigenza di non rifiutare posti di lavoro in un territorio come quello campano dove la disoccupazione è una piaga endemica.
Ma quello che si è consumato a Pomigliano d’Arco è un ricatto.
Sono stati messi in discussione non solo diritti acquisiti con anni di contrattazione collettiva, ma cosa ancora più grave, diritti costituzionalmente garantiti, ai quali si richiede di rinunciare in nome del posto di lavoro.
Ma la cosa peggiore, a mio avviso, è che questo ricatto si sia consumato nel silenzio-assenso del Governo che non ha mediato tra le posizione, come sarebbe stato suo compito, e che avrebbe potuto e credo anche dovuto far valere una sorta di “moral suasion” per cercare di conciliare situazioni e richieste completamente opposte.
Il problema forse è stato: chi doveva agire? Il ministro del Welfare? lo stesso che sbandiera ai quattro venti che questo accordo farà scuola e che ad aprile dichiarava “Occorre lavorare anche sulla cultura dei giovani: bisogna aiutarli ad accettare qualsiasi tipo di lavoro, anche il più umile”.O magari il Ministro dello sviluppo economico che al momento coincide con il buffo ometto che tiene banco con le sue sparate eversive contro la Costituzione?


OkNotizie

venerdì 11 giugno 2010

Lutto contro la legge bavaglio


giovedì 10 giugno 2010

Non ci resta che piangere


Mi viene da piangere. Non so se sia rabbia o tristezza, ma mi viene da piangere.
Siamo arrivati al punto di non ritorno. Siamo oltre al conflitto di interesse, siamo oltre le leggi ad personam, siamo oltre la cricca, siamo oltre gli interessi personali.
Non siamo più nemmeno sul viale del tramonto, siamo già in piena notte, già in piena dittatura.
Certo non una dittatura come quelle cui siamo abituati, nessuna sfilata sotto il balcone che si rischia di disturbare il sovrano nell’alcova, nessun salto della baionetta su via dell’impero.
Ma è già dittatura.
E’ avvenuto tutto così, semplicemente. Ci siamo svegliati una mattina e la democrazia non c’era più.
Un’opera di demolizione perfetta, il manuale del piccolo guastatore deve averlo studiato per bene il premier.
Prima il populismo demagogico, l’autodefinirsi eletto dal popolo, come se fosse una prerogativa solo sua peraltro, poi lo svuotamento progressivo del Parlamento sotto i colpi delle fiducie e dei decreti legge, l’attacco devastante alle istituzioni, dalla magistratura alla Corte Costituzionale , dal Parlamento al Presidente della Repubblica, infine l’affondo al cuore dello Stato, alla Costituzione, svilita, vilipesa, offesa.
E tutto questo nel silenzio, quasi assordante, di tutti. Della destra e anche della sinistra, troppo impegnata nell’estenuante ricerca del dialogo.
Da come scrivo, contro il miglior Presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni sembrerei di sinistra, un comunista. Invece no. Sono di destra. Da sempre. Dal primo voto, dato al MSI, da quando eravamo davvero, per la prima volta nella storia della destra italiana, un milione a Piazza San Giovanni, da quando i comizi in piazza si aprivano con l’inno nazionale e non quella pagliacciata del “Meno male che Silvio c’è” , che se non ci stava era pure meglio.
Ma questo era prima. Prima che Alleanza nazionale si appiattisse sulle posizioni del berlusconismo, prima che l'Italia diventasse una barzelletta di cui l'intero pianeta ride, prima dei giudici definiti malati di mente e cancro della democrazia, prima di Mangano eroe nazionale, prima di questa grande follia.
Faccio mea culpa. Ho votato Berlusconi, in tempi non sospetti, nel lontano 1994. L’ho fatto non perché irretito dalle banali promesse elettorali, dai miraggi del milione di posti di lavoro o dalla trovata del contratto con gli italiani firmato nello studio di Vespa, né perché pensavo, come tanti altri, che lui fosse il superman disceso in campo pronto risolvere i tanti mali d’Italia. L’ho fatto perché io ero e sono di destra, l’ho fatto perché ritenevo giusto che anche l’Italia, come tutte le altre democrazie europee potesse avere una democratica alternanza di schieramenti politici e di governo. Poi però già dalle elezioni successive, sono diventato praticamente un’apolide della politica. Non ho più un partito, alle urne vado con infinita tristezza a votare contro la destra, o meglio, contro questa destra, nella consapevolezza di farlo per il bene dell’Italia.
Dopo il congresso del PDL, dopo l’indice di Gianfranco Fini puntato contro il Premier, ho sperato davvero che qualcosa potesse cambiare.
Nasce Generazione Italia. Destinazione futuro, così c’e scritto sul sito. Ma quale futuro?
Non è un futuro con Silvio alla Presidenza della Repubblica in un regime presidenziale all’italiana che voglio; non è un futuro con una magistratura denigrata e schiava del potere esecutivo che voglio; non è una stampa imbavagliata e messa a tacere per non disturbare il lavoro dei potenti quello che voglio; non è un’Italia frammentata, divisa quello che voglio.
Voglio il rispetto delle istituzioni, voglio il rispetto delle leggi, voglio il rispetto del Parlamento.
Rileggo la Costituzione, quella Carta che tutti ci invidiano e poi guardo il mio Paese oggi e ascolto le dichiarazioni farneticanti del Premier.
E non ci resta che piangere.

 
Design by Free WordPress Themes | Bloggerized by Lasantha - Premium Blogger Themes | WordPress Themes Review