martedì 22 giugno 2010

Pomigliano d'Arco: anno 2010





Non amo particolarmente i sindacati.
Riconosco le loro giuste attività; riconosco che i sindacati hanno contribuito , specie in passato, alla nascita e alla costruzione dello stato sociale e che tante delle battaglie sindacali condotte sono state giuste e sacrosante affermazioni diritti dei lavoratori.
Ritengo peraltro che il sindacato, così come il diritto del lavoro in Italia non abbia mai saputo adeguarsi al cambiamento imposto dal mercato e dai tempi.
In Italia il diritto del lavoro è stato per troppo tempo ed in parte lo è ancora , il diritto di chi lavora, il diritto di chi il lavoro già ce l’ha o di chi lo sta perdendo; il sindacato con le sue battaglie ha sempre mirato alla protezione di diritti acquisiti, al mantenimento o al miglioramento dello status di occupato intervenendo nella contrattazione collettiva, nei piani di riorganizzazione e riconversione industriale. E’ rimasta fuori però, la gran parte dei lavoratori aticipi, i giovani alla prima occupazione, i famosi co.co. co. e poi i co.co. pro, e prima ancora quelli coinvolti in lavori socialmente utili o di pubblica utilità, e anche gli inoccupati, quelli che un posto di lavoro, seppur precario, non lo hanno mai avuto.
Per troppo tempo e ancora oggi l’attività del sindacato si è trincerata dietro l’idea, molto ottocentesca di una contrapposizione netta tra datore di lavoro e lavoratore, tra capitale e lavoro, insomma.
Fatta questa doverosa premessa, veniamo al caso Pomigliano d’Arco e alla Fiom.
La FIOM HA RAGIONE.
Capisco la situazione critica per il mercato, non solo italiano ma europeo e mondiale e le difficoltà del mercato dell’auto, apprezzo la volontà della FIAT di proporre un sostanziosissimo investimento per la zona del napoletano, capisco pure l’esigenza di non rifiutare posti di lavoro in un territorio come quello campano dove la disoccupazione è una piaga endemica.
Ma quello che si è consumato a Pomigliano d’Arco è un ricatto.
Sono stati messi in discussione non solo diritti acquisiti con anni di contrattazione collettiva, ma cosa ancora più grave, diritti costituzionalmente garantiti, ai quali si richiede di rinunciare in nome del posto di lavoro.
Ma la cosa peggiore, a mio avviso, è che questo ricatto si sia consumato nel silenzio-assenso del Governo che non ha mediato tra le posizione, come sarebbe stato suo compito, e che avrebbe potuto e credo anche dovuto far valere una sorta di “moral suasion” per cercare di conciliare situazioni e richieste completamente opposte.
Il problema forse è stato: chi doveva agire? Il ministro del Welfare? lo stesso che sbandiera ai quattro venti che questo accordo farà scuola e che ad aprile dichiarava “Occorre lavorare anche sulla cultura dei giovani: bisogna aiutarli ad accettare qualsiasi tipo di lavoro, anche il più umile”.O magari il Ministro dello sviluppo economico che al momento coincide con il buffo ometto che tiene banco con le sue sparate eversive contro la Costituzione?


OkNotizie

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