giovedì 10 giugno 2010

Non ci resta che piangere


Mi viene da piangere. Non so se sia rabbia o tristezza, ma mi viene da piangere.
Siamo arrivati al punto di non ritorno. Siamo oltre al conflitto di interesse, siamo oltre le leggi ad personam, siamo oltre la cricca, siamo oltre gli interessi personali.
Non siamo più nemmeno sul viale del tramonto, siamo già in piena notte, già in piena dittatura.
Certo non una dittatura come quelle cui siamo abituati, nessuna sfilata sotto il balcone che si rischia di disturbare il sovrano nell’alcova, nessun salto della baionetta su via dell’impero.
Ma è già dittatura.
E’ avvenuto tutto così, semplicemente. Ci siamo svegliati una mattina e la democrazia non c’era più.
Un’opera di demolizione perfetta, il manuale del piccolo guastatore deve averlo studiato per bene il premier.
Prima il populismo demagogico, l’autodefinirsi eletto dal popolo, come se fosse una prerogativa solo sua peraltro, poi lo svuotamento progressivo del Parlamento sotto i colpi delle fiducie e dei decreti legge, l’attacco devastante alle istituzioni, dalla magistratura alla Corte Costituzionale , dal Parlamento al Presidente della Repubblica, infine l’affondo al cuore dello Stato, alla Costituzione, svilita, vilipesa, offesa.
E tutto questo nel silenzio, quasi assordante, di tutti. Della destra e anche della sinistra, troppo impegnata nell’estenuante ricerca del dialogo.
Da come scrivo, contro il miglior Presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni sembrerei di sinistra, un comunista. Invece no. Sono di destra. Da sempre. Dal primo voto, dato al MSI, da quando eravamo davvero, per la prima volta nella storia della destra italiana, un milione a Piazza San Giovanni, da quando i comizi in piazza si aprivano con l’inno nazionale e non quella pagliacciata del “Meno male che Silvio c’è” , che se non ci stava era pure meglio.
Ma questo era prima. Prima che Alleanza nazionale si appiattisse sulle posizioni del berlusconismo, prima che l'Italia diventasse una barzelletta di cui l'intero pianeta ride, prima dei giudici definiti malati di mente e cancro della democrazia, prima di Mangano eroe nazionale, prima di questa grande follia.
Faccio mea culpa. Ho votato Berlusconi, in tempi non sospetti, nel lontano 1994. L’ho fatto non perché irretito dalle banali promesse elettorali, dai miraggi del milione di posti di lavoro o dalla trovata del contratto con gli italiani firmato nello studio di Vespa, né perché pensavo, come tanti altri, che lui fosse il superman disceso in campo pronto risolvere i tanti mali d’Italia. L’ho fatto perché io ero e sono di destra, l’ho fatto perché ritenevo giusto che anche l’Italia, come tutte le altre democrazie europee potesse avere una democratica alternanza di schieramenti politici e di governo. Poi però già dalle elezioni successive, sono diventato praticamente un’apolide della politica. Non ho più un partito, alle urne vado con infinita tristezza a votare contro la destra, o meglio, contro questa destra, nella consapevolezza di farlo per il bene dell’Italia.
Dopo il congresso del PDL, dopo l’indice di Gianfranco Fini puntato contro il Premier, ho sperato davvero che qualcosa potesse cambiare.
Nasce Generazione Italia. Destinazione futuro, così c’e scritto sul sito. Ma quale futuro?
Non è un futuro con Silvio alla Presidenza della Repubblica in un regime presidenziale all’italiana che voglio; non è un futuro con una magistratura denigrata e schiava del potere esecutivo che voglio; non è una stampa imbavagliata e messa a tacere per non disturbare il lavoro dei potenti quello che voglio; non è un’Italia frammentata, divisa quello che voglio.
Voglio il rispetto delle istituzioni, voglio il rispetto delle leggi, voglio il rispetto del Parlamento.
Rileggo la Costituzione, quella Carta che tutti ci invidiano e poi guardo il mio Paese oggi e ascolto le dichiarazioni farneticanti del Premier.
E non ci resta che piangere.

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