6 aprile 2009 ore 3.32: L’Aquila e alcuni paesi circostanti vengono distrutti da una forte scossa di terremoto dopo uno sciame sismico che si protraeva da più di un mese. Tanti morti, interi paesi distrutti, cancellati, tanti sfollati.
In meno di un mese l’Aquila diventa il nuovo miracolo italiano: niente container ad ospitare i terremotati, quegli orrendi moduli abitativi in lamiera fanno tanto campo triste da sfollato Prima Repubblica, vai con le new town; il G8 con i potenti della terra ad aggirarsi tra le macerie di quella città che era un gioiello dell’architettura e della cultura e a mettersi in posa per i fotografi con tanto di caschetto giallo promettendo soldi per la ricostruzione. Poi le case, consegnate in diretta televisiva alla presenza del notaio Bruno Vespa, con addirittura lo spumante nel frigorifero a brindare alla felice vita futura da trascorrere in ridenti casette in cartongesso, dove pure il vaso da fiori , in plastica e con il logo della protezione civile ti ricorda che comunque hai perso tutto e niente sarà più come prima, in quelle new town spuntate all’improvviso e in luoghi improbabili, fuori dai piani regolatori, distruggendo pure il patrimonio naturale dei dintorni.
Io sono stato a L’Aquila, un anno dopo il terremoto, il 6 marzo 2010
Il miracolo, quello tanto sbandierato non c’è, non c’è mai stato o forse sono solo io che non lo vedo.
Non ero mai stato a L’Aquila prima del disastro. Dicono che fosse bellissima, un gioiello di ricchezze architettoniche, le chiese, le piazze , i portici dove fare lo struscio, una città ricca di cultura.
Ora è come camminare in una città bombardata, come se il terremoto fosse stato la sera prima, non un anno prima. Qualcosa si intravede dalle macerie. Si intravedono i portici. Ora sono tutti puntellati, una rete ti impedisce di camminarci sotto, le case e i palazzi sono pericolanti. Sotto si intravvedono i bellissimi caffè, le pasticcerie, i negozi, di quello che doveva essere il cuore pulsante di questa città.
Non è possibile entrare nel centro storico, ad un anno di distanza non è ancora possibile entrarci. Le macerie sono ancora tutte li, i palazzi sono pericolanti come quella notte, anzi forse ancora di più perché l’inverno rigido ha creato ancora più problemi a quelle strutture precarie. A chiudere l’accesso al centro storico, alla zona rossa, c’è una rete a cui i cittadini hanno attaccato le loro chiavi, con l’indirizzo e il numero civico. Una di quelle chiavi è come quella di casa mia. Potrebbe succedere anche a me; anche la Calabria è terra ad alto rischio sismico.
Quando scende la sera L’Aquila diventa una città fantasma. Cammini per le strade, quelle poche aperte, in un silenzio irreale. Non un bar aperto, non un ristorante o una pizzeria, nessuna luce alle finestre delle case, nessun passante, le uniche macchine in circolazione sono i mezzi di servizio della Protezione Civile o dei militari che sono ancora li, a pattugliare strade senza vita.
E’ questo il miracolo della ricostruzione?
E’ questo che si vuole offrire ai cittadini ? Un futuro da sfollati.
Incontro alcune signore, alcune tra le fortunate abitanti delle nuove CASE; hanno voglia di parlare e di raccontarti. Chiedo come si sta nelle nuove case. Bene è la risposta, meglio che in tenda che qui l’inverno è freddo e loro sono anziane. Però a loro le Case le hanno date alla spicciolata , senza telecamere, e lo spumante nel frigo non ci stava e nemmeno il bigliettino augurale del Presidente. Non è come stare a casa, ti dicono. Non si può mettere un quadro che sai, non si possono bucare le pareti e il rubinetto della cucina perde, ma non si può chiamare qualcuno a farlo riparare, devono venire quelli della protezione civile, a farlo. E comunque fuori da casa non c’è niente. Non c’è un negozio, non puoi fare la spesa, non c’è nemmeno la chiesa.
Sopra ad un cartello, qualcuno ha attaccato la scritta: verba volant, sisma manet.
A quanto pare ormai non ci sono più nemmeno le parole a raccontare il dramma dell’Aquila, che continua a morire nel silenzio generale.
Non ci sono più i titoli dei giornali, non ci sono più gli speciali di Bruno Vespa, non ci sono più i potenti della terra a sfilare commossi. Rimane solo il silenzio.